14/10/13

Antropologia di un esame

Dovendo rivestire il mio CV di un'allure più letteraria e meno archeologica militante, mi sono iscritta (intanto) all'esame di Letteratura italiana contemporanea.
Ho mandato una mail al professore per avere il programma da non frequentante.
Mi ha risposto a stretto giro di posta elettronica.


M. Houellebecq, Le particelle elementari, Bompiani. Michel Djerzinski e Bruno Clément sono fratellastri e sembrano essere accomunati unicamente dall'abbandono della madre. Michel è uno scienziato dedito alla biologia molecolare e vicino al Nobel. Un uomo che ha dedicato la sua esistenza agli studi scientifici che lo hanno portato all'isolamento e all'impermeabilità a qualunque emozione. Il suo sogno è riuscire a clonare gli esseri umani così da poter garantire a essi una vita perfetta. Bruno è un uomo di lettere, fa l'insegnante, è attirato dal sesso in modo morboso, ed è costretto dalla malattia a entrare e uscire dalle cliniche psichiatriche. Sia la morbosità patologica di Bruno sia l'asettica razionalità di Michel sono il risultato dell'ambiente che li circonda: un mondo fatto di solitudini e dominato dal caso in cui i desideri sembrano scaturire dagli spot pubblicitari. Nella descrizione di questo quadro apocalittico, nell'aridità di questa umanità scarnificata si intravedono scenari futuri dai risvolti inquietanti. Uno sguardo disincantato sul corpo agonizzante della civiltà occidentale che ricorda scrittori l'oltreoceano come DeLillo, Carver, D.F. Wallace e T.C. Boyle. Un libro spietato, intenso, bello ed estremo. (dalla quarta di copertina)

C. Lasch, L'io minimo. La mentalità della sopravvivenza in un'epoca di turbamenti, Feltrinelli. In un'epoca di turbamenti come la nostra, in cui la vita quotidiana diventa un esercizio di sopravvivenza, l'identità - che implica una storia personale, amici, una famiglia, il senso di appartenenza a un luogo - diventa un lusso. Per l'individuo in stato di assedio, la difesa dell'equilibrio psichico impone la contrazione di un io minimo che, per fronteggiare le imprevedibili avversità, si nutre di ciò che trova nella cultura emergente: l'ironia protettiva e il disimpegno emotivo, la riluttanza a stringere legami affettivi a lungo termine e il vittimismo, il fascino delle situazioni estreme e il malsano desiderio di applicarne la lezione alla vita di ogni giorno. Attraverso un'indagine che tiene conto degli ambiti più diversi (l'arte e la filosofia, il costume e la psicanalisi), Christopher Lasch propone una chiave di lettura del mutamento culturale in corso offrendo un lucido e misurato contributo all'intelligenza del presente. (dalla quarta di copertina)


P.P. Pasolini, Lettere luterane, Garzanti. La "mutazione antropologica", il grande tema delle Lettere luterane, ci appare oggi un nodo su cui è obbligatorio riflettere: trentacinque anni fa era il rovello di un intellettuale lucidissimo e isolato [...]. Ci appare oggi evidente anche un perno centrale del ragionamento di Pasolini: l'impossibilità di "separare i fenomeni". L'impossibilità cioè di analizzare il Palazzo senza tener conto che "un Paese di cinquanta milioni di abitanti sta subendo la più profonda mutazione culturale della sua storia". Da questo rischio Pasolini metteva in guardia con forza, eppure la sua metafora fu assunta allora - e diventò linguaggio comune - proprio prescindendo da quella decisiva consapevolezza. Così avvenne anche più tardi, nella profondissima crisi dei primi anni Novanta. Si diffuse allora l'illusione che bastasse demolire il vecchio, davvero putrido Palazzo per liberare le energie di una virtuosa società civile: si basarono su questo molte euforiche attese di una salvifica Seconda Repubblica. E molti disastri. (dalla terza di copertina)

P.P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti. L'invisibile rivoluzione conformistica di cui Pasolini parlava con tanto accanimento e sofferenza dal 1973 al 1975 non era affatto un fenomeno invisibile. Chi ricorda anche vagamente le polemiche giornalistiche di allora, a rileggere questi Scritti corsari può restare sbalordito. Il fatto è che per Pasolini i concetti sociologici e politici diventavano evidenze fisiche, miti e storie della fine del mondo. Finalmente, così, Pasolini trovava il modo di esprimere, di rappresentare e drammatizzare teoricamente e politicamente le sue angosce [...] di parlare in pubblico del destino presente e futuro della società italiana, della sua classe dirigente, della fine irreversibile e violenta di una storia secolare. (dalla terza di copertina)

K. Yasunari, Walter Siti, Troppi paradisi, Einaudi. Si chiama "Walter Siti, come tutti", il protagonista di questo romanzo. Se da giovane era convinto di essere anomalo, adesso, giunto a sessant'anni, ha scoperto di essere tipico. "La mia prima mediocrità - dice di sé - è caratteriale, ed epica, volevo dire etica". Per lui è arrivato il momento di acquietarsi, di trovarsi una nicchia e un equilibrio: il lavoro universitario, ormai una sinecura; il rapporto con Sergio, quasi un matrimonio. Così, tra un compromesso e l'altro, la vita potrebbe scorrere tranquilla, placida, completa. Ma Walter è ossessionato dal paradiso: dal paradiso personale, che gli manca, e dai troppi paradisi collettivi con cui l'Occidente ha abbagliato sé stesso. Per sua fortuna, o per sua disgrazia, il paradiso arriva con Marcello, angelico culturista di borgata bellissimo e ambiguo, che sembra incarnare come nessun altro lo spirito dei tempi. E cosa importa se per averlo Walter dovrà pagare un prezzo troppo alto? Ogni cosa si compra, ma alle volte le rese dei conti hanno il sapore di una vittoria. (dalla quarta di copertina)


Ho iniziato a leggere il primo, e già mi si sono rizzati tutti i capelli. Quando arriverò all'"angelico culturista di borgata che sembra incarnare lo spirito dei tempi" sarò diventata calva. 
Lo so.







02/10/13

Genetliaco

Nel caos primordiale di questa seconda metà di settembre mi sono persa per strada il mio compleanno. E alla fine mica è stata 'na tragedia. Ne ho vari alle spalle e parecchi davanti, e non festeggiarne uno - come del resto non ne ho festeggiati altri - non è poi la fine del mondo. Il compleanno, come quasi tutto il resto nella vita - o, nei momenti di maggior cinismo, come proprio tutto il resto della vita -, ha il significato che gli si dà, niente di più e niente di meno. Quando poi, come nel mio caso, il compleanno coincide con l'anniversario di qualcosa che vorresti dimenticare, di qualcosa che ti ha cambiata e ha cambiato tanto altro, beh, sottovalutarlo e lasciarlo andare un po' così, sottotono-sottosilenzio-sottoconsiderazione, viene parecchio spontaneo. Aggiungiamoci poi che gli anni passano, le decine si aggiungono alle unità e viceversa, inizia la fase della fine dei giochi o finisce quella del loro inizio. Insomma, io non sono una fanatica del mio compleanno.
Capitano poi quei momenti di intensa pace interiore durante la quale, per non so quale perfidissima legge fisica/chimica/masochista, il neurone, per non perdere la sua motilità di base, si mette a cogitare cose profondissime. Che poi io sono strana, parecchio strana, e 'sti momenti di intensa pace interiore ergo profonda riflessione mi capitano sempre quando rifaccio il letto o pulisco il bagno. Me ne esco fuori con perle di saggezza che farebbero invidia a qualsiasi stilita di professione.
Comunque.
Stasera mi rifacevo il letto in preda alla necessità di pace interiore. Tanta pace interiore. Almeno quella, dopo il caos primordiale. Mica ci pensavo che poi mi sarei messa a cogitare. Il cogito mi impedisce la pace interiore, ma del resto non c'è pace interiore senza cogito. L'ho detto che sono strana.
Ari-comunque.
Mi sono messa a pensare a quello che vorrei. Ma non quello che vorrei nel senso delle scarpe Louboutin del post precedente. Quello che vorrei in un senso un po' diverso. Più profondo, forse. Più inconscio. Più incisivo. Più, insomma.

Vorrei una routine. Vorrei una pausa - merenda che coincide con i cartoni di Bim Bum Bam, immancabilmente alle 16:30, cascasse il mondo o si scatenasse il caos primordiale. Vorrei andare a letto sapendo cosa mi aspetta il giorno dopo. Vorrei una tabella da seguire, orari da rispettare e un episodio di Georgie da vedere per ricordarmi che innamorarsi di tre ragazzi, due dei quali sono tuoi fratelli, è peggio di qualsiasi caos primordiale.
Vorrei dormire tranquilla, addormentarmi senza avvoltoi e svegliarmi senza patemi. Vorrei sognare qualcosa di realizzabile. Vorrei non dover aspettare ore passate a fissare il soffitto prima di addormentarmi. Vorrei avere abbastanza forza o abbastanza debolezza per parlare di quello che mi tiene sveglia, allontanare il ghiaccio, scagliare la pietra e poi sarà quel che sarà.
Vorrei liberarmi da quelle occhiate che giudicano, dai silenzi che giudicano più delle occhiate, dalle parole sussurrate e da quelle urlate. Vorrei liberarmi dalla bambina che sente di dover rinunciare, dall'adolescente che sa cosa ci si aspetta da lei, dall'adulta dipendente da ciò che alcuni pensano di lei. Vorrei eliminare la necessità di giustificarmi costantemente, il bisogno di chiedere scusa per qualcosa che non ho commesso, il continuo ricordarsi e addossarsi doveri che non mi spettano.
Vorrei che scrivere avesse il potere catartico che aveva prima, quando mi bastava scarabocchiare due frasi per sentirmi più leggera. Ma soprattutto vorrei, fortissimamente vorrei, ricordarmi in ogni momento della giornata che sono io, dopo tutto, che sono fatta così, coi buchi neri e le quindici personalità, sempre in bilico tra non si sa nemmeno cosa, che c'è voluto tempo, e fatica, e vita, per diventarlo. E che mi piaccio così, anche quando sono in disaccordo con me stessa.